Il Programma Barroso 2009-2014: il concetto di Crescita Sostenibile va autonomizzandosi dalla lotta al Cambiamento Climatico

20 06 2009

 

Foto: Miguel A. Lopes/Flickr

Foto: Miguel A. Lopes/Flickr

Attraverso un’economia sociale di mercato fondata su opportunità, responsabilità e solidarietà condurre le nostre economie fuori dalla crisi attuale, preparando la strada per una crescita economica più intelligente, verde e sostenibile. Sembra questo il cuore dell’abbozzo di programma, presentato prima al Consiglio ECOFIN del 9 giugno scorso e perfezionato in una lettera inviata ai Capi di Stato e di Governo intervenuti al Consiglio Europeo del 18 e 19 giugno, con il quale José Manuel Barroso persegue la rinomina a Presidente della Commissione Europea per il mandato 2009-2014.

E’ troppo presto per entrare in merito ai progetti specifici in materia di Energia e di Ambiente: in entrambi i casi, l’abbozzo non copre che 2 pagine e concerne in primo luogo i valori e i principi che dovrebbero muovere il mandato Barroso Bis. Due concetti su tutti: ambizione e rafforzamento, il primo riferito all’azione dell’Unione, il secondo alla sua struttura.

Nondimeno, possiamo rilevare un mutato approccio ai temi energetico-ambientali. Gli impegni per la lotta al Cambiamento Climatico e per la preservazione della Sicurezza Energetica del continente appaiono insieme ma spaiati rispetto al concetto di “economia più verde, intelligente e sostenibile”. Si tratta propriamente del contenuto dei 6 punti in cui Barroso raccoglie le sue “ambizioni” per il futuro dell’Europa: una disposizione simbolica ma non per questo meno rilevante.

La Transizione verso un'”Economia più verde, intelligente e sostenibile” sembra invece far rima con Uscita dalla Crisi. Si tratta di un punto molto interessante: riflette, ritengo, una certa volontà di distinguere la lotta contro il Cambiamento Climatico, che in questo periodo di difficoltà economiche più Governi percepiscono (ancora) come un fardello di puro connotato “etico”, dall’opportunità meramente economica di puntare sulla Green Economy per rilanciare il PIL e l’occupazione. In tal senso, non dimentichiamo che Barroso rappresenta un candidato di centro-destra.

Che dire? Personalmente, stimo positiva tale “transizione” concettuale: portare la Sostenibilità al centro del discorso di Politica Economica come principio pratico per efficaci misure di ripresa al contempo

  • sancisce la credibilità assunta agli occhi dei dirigenti europei dal principio di Sostenibilità quale criterio di uno sviluppo economico e sociale più equilibrato, confutandone la precedente visione da masochistica e decadente denuncia morale da fine regno “capitalistico”; credibilità questa già affermata dalle maggiori Imprese internazionali;
  • contribuisce a convincere i Governi dell’opportunità anche economica di applicare concretamente tale criterio nella definizione delle loro politiche nazionali.

Resta ora da verificare che gli ulteriori sforzi necessari per “proteggerci” dal Riscaldamento Globale (in primis, garantire l’adattamento delle Comunità più esposte) vengano effettivamente intrapresi e difesi nelle sedi internazionali, a cominciare dai negoziati pre-Copenhagen.

Un ultimo appunto: chiaro è il riferimento alla volontà di mantenere la leadership europea nella lotta al Cambiamento Climatico e di fare delle imprese e delle tecnologie europee le pioniere della low carbon economy. Ancora una volta all’insegna dell'”opportunità” di agire dunque, in perfetta coerenza con il trittico valoriale che apre il Programma di Barroso: “opportunità, responsabilità, solidarietà“.





Consiglio Europeo 18-19 giugno 2009: una flebile voce in vista di una posizione comune Clima-Energia per il G8 de L’Aquila? Riassunto e valutazioni

19 06 2009

 

Fischer_BarrosoUna riproposizione delle posizioni e delle iniziative intraprese in precedenza. E’ quanto si può dire in materia energetico-ambientale di un Consiglio Europeo peraltro passato pressoché sotto silenzio nei principali quotidiani europei online della serata.

Il rafforzamento della stabilità dell’Unione sembra esserne il risultato più rilevante. I contributi maggiori del vertice risultano infatti essere la riconferma di José Manuel Barroso a Presidente della Commissione per la legislatura 2009-2014 (da vedersi ancora la conferma dell’Europarlamento in programma, auspicabilmente, per la prima sessione plenaria prevista tra il 14 e il 16 luglio) e le rassicurazioni agli euroscettici elettori irlandesi in merito alle implicazioni giuridiche del Trattato di Lisbona. Indubbiamente dei passi importanti in un momento in cui la sovrapposizione di rinnovo del Parlamento, rotazione della Presidenza e crisi economico-finanziaria rischia di minare la spinta propulsiva dell’Europa in vista della Conferenza di Copenhagen sul post-Kyoto in dicembre.

Ben limitato appare però il contributo alle tematiche direttamente energetico-ambientali che pur costituivano il secondo punto per valenza sui quattro all’ordine del giorno. Le 3 pagine consacratevi sulle 16 delle Conclusioni della Presidenza sottolineano nuovamente come nell’attuale contesto di crisi sia giunto il momento, per la Comunità Internazionale, di agire al fine di “passare ad un’economia sicura e sostenibile a bassa emissione di CO2, capace di generare la crescita e di creare nuovi posti di lavoro“. A questo scopo, l’Unione Europea ripropone:

  • l’importanza dei negoziati bilaterali al fine di giungere ad un accordo condiviso a Copenhagen. In tal senso, l’UE avanza l’esempio dei suoi recenti vertici con Canada, Cina, Giappone, Corea del Sud, Russia e Stati Uniti;
  • il suo impegno di leadership nella lotta al Global Warming e di riduzione delle proprie emissioni fino al 30% per il 2020 in caso di sforzo comparabile da parte degli altri Stati industrializzati e di contributo dei Paesi in via di sviluppo, secondo i criteri già decisi nel corso del Consiglio Europeo di marzo;
  • la problematica del finanziamento delle azioni di mitigazione e di adattamento al Cambiamento Climatico nei Paesi in via di sviluppo, approvando quanto proposto in sede di Consiglio ECOFIN del 9 giugno 2009. In particolare, si ripropone il principio della “contribuzione universale, complessivo e specifico” di tutti i Paesi, eccetto i meno avanzati, fondata sulla rispettiva “capacità contributiva e la responsabilità delle emissioni“. Inoltre, “pur sottolineando il ruolo primario del finanziamento privato“, l’Unione Europea si dice pronta a contribuire al “sostegno pubblico internazionale” delle azioni di lotta al Cambiamento Climatico e auspica che i meccanismi e le istituzioni di finanziamento esistenti siano adeguatamente sfruttati;
  • la necessità di “strategie complessive di sviluppo a basse emissioni di carbonio da parte dei paesi in via di sviluppo al fine di condurvi efficacemente le necessarie azioni di mitigazione e di adattamento al Riscaldamento Globale;
  • le problematiche della Sicurezza Energetica dell’Unione, plaudendo all’accordo sulla Direttiva in materia di scorte strategiche di petrolio e al progetto di interconnessione del mercato energetico del Mar Baltico (all’interno della Strategia per la Regione del Baltico, priorità della Presidenza Svedese). Esprime nondimeno preoccupazione per le relazioni Russia-Ucraina.

Il Consiglio Europeo auspica inoltre che:

  • si realizzi l’intenzione della Presidenza del Consiglio entrante (quella Svedese) di elaborare un programma di lavoro tale che l’UE arrivi con una voce sola alle future negoziazioni pre-Copenhagen, avendo permesso prima agli Stati membri di ben chiarire all’interno le loro posizioni;
  • la “relazione della Commissione sull’attuazione della strategia per lo Sviluppo Sostenibile“, indicato come priorità dell’Unione nelle sue dimensioni economica, sociale e ambientale, venga esaminata al più presto dai Consigli futuri (probabilmente ECOFIN, ovvero dei Ministri dell’Economia e delle Finanze degli Stati membri);
  • una Strategia analoga a quella della Regione del Mar Baltico venga realizzata per la Regione Danubiana al fine di migliorare la Sicurezza Energetica dell’Unione Europea.

Che dire?

Definire non solo sostenibile ma anche “sicura” un’attività economica a basse emissioni: probabilmente questo il concetto più innovativo, che compare già nel primo, generico, paragrafo dedicato ai temi energetico-ambientali.

Per il resto, il Consiglio Europeo di giugno sembra cercare di sistematizzare gli importanti contributi in materia realizzati dopo il Consiglio di marzo (19-20 marzo 2009) e sopra citati.

Un’ultima rilevazione: i criteri della “capacità contributiva e [del]la responsabilità delle emissioni” per individuare gli Stati, anche in via di sviluppo, suscettibili di contribuire al finanziamento delle azioni di lotta al Cambiamento Climatico nei Paesi più disagiati vanno proprio a sottolineare il principio di categorizzazione degli Stati per “grandezza” che i Paesi emergenti come Cina, India e Brasile più rifiutano, come hanno avuto modo di sottolineare durante gli ultimi Bonn Climate Change Talks.





Creare il post-Kyoto: come ridurre le emissioni a livello nazionale? Rilancio del dibattito tra Cap-and-Trade e Carbon Tax

16 06 2009

 

E’ il momento di discutere gli strumenti concreti, all’indomani della pur insoddisfacente conclusione dei Bonn Climate Change Talks. Strumenti destinati ad avviare la Transizione Energetica dei sistemi economici dei diversi Paesi, incentivando gli investimenti in tecnologie pulite e l’evoluzione dei comportamenti individuali: vero obiettivo al quale, attraverso i tetti alle emissioni di gas serra, le Parti alla Convenzione ONU sul Riscaldamento Climatico cercano di impegnarsi.

In questi giorni cominciano dunque a rimbalzare gli annunci sulle misure che i Governi intendono intraprendere sul piano interno per rispettare gli impegni che negoziano sul piano internazionale. Voglio soffermare la vostra attenzione, in particolare, sulla diversità degli approcci prospettati.

  • Con la Presidenza Svedese alle porte, l’Unione Europea ha recentemente rilanciato la carbon tax (= le emissioni di anidride carbonica diventano un costo di produzione per l’azienda che le produce) sottolineando gli impatti positivi in termini di segnali eco-friendly che essa invia al mercato, indicando che produzioni andare a ridimensionare, che investimenti compiere, che comportamenti adottare. Una misura, presente in Svezia (dal 1991), che sembrerebbe ben opportuna in un periodo in cui l’indisponibilità delle finanze statali ostacola investimenti infrastrutturali massicci condotti sotto l’ala pubblica.
  • Con l’American Clean Energy and Security Act of 2009 in corso di discussione al Congresso, gli Stati Uniti puntano invece su meccanismi di cap-and-trade. Ponendo un tetto globale (cap) alle emissioni consentite nel sistema Paese e lasciando alle aziende il gioco di acquistarsene a vicenda (trade) il diritto a produrle, si permetterebbe alle più inquinanti tra loro un adeguamento graduale a standard ambientali più stringenti.

Si tratta nondimeno di soluzioni atte a coesistere, in un’ottica inclusiva delle diverse soluzioni disponibili contro il Cambiamento Climatico. Infatti, in Europa dal 2005, esiste già un sistema di scambio delle emissioni, l’EU ETS (European Union Emission Trading Scheme), dunque di cap-and-trade, che copre però soltanto i settori energetici e parzialmente quelli industriali, per un totale di solo il 40% delle emissioni totali dell’Unione. E nel contempo, negli Stati Uniti il dibattito tra le due soluzioni rimane ancora particolarmente acceso.

Avremo modo di ritornare in seguito sulle implicazioni economiche, aziendali e politiche di questi temi. Per il momento, per una discussione economica sulle modalità di applicazione di queste misure rimando al chiaro post di Climate Monitor.





Creare il post-Kyoto dopo i Climate Change Talks di Bonn: recriminazioni e ordine sparso?

15 06 2009

 

Allarmanti opinioni emergono in merito ai Bonn Climate Change Talks ad un weekend di distanza dalla loro conclusione avvenuta venerdì 12 giugno dopo 2 settimane di negoziati. Opinioni estremamente dissonanti con quanto espresso precedentemente dallo stesso Direttore Esecutivo della UNFCCC, Yvo de Boer, nel comunicato stampa ufficiale di conclusione dei lavori. E ben diverse dai pur limitati ottimismi che avevamo potuto rilevare nel precedente post dedicatovi.

L’espressione “physically impossible che lo stesso Yvo de Boer in data 11 giugno (giusto alla vigilia del termine dei lavori) aveva riservato al raggiungimento di un accordo a dicembre è stata infatti rilanciata da più parti. Il tema più spinoso, come rilevato, concerne la determinazione delle specifiche riduzioni nelle emissioni che ogni Paese accetta di attribuirsi: in merito, opposizioni importanti si rinvengono non solo tra Paesi industrializzati e in via di sviluppo, ma all’interno degli stessi Paesi sviluppati e tra gli emergenti e i Paesi più poveri.

Ed si fa insistente l’opzione di un mercato internazionale delle emissioni anche fuori da un quadro concordato a livello di Nazioni Unite (di UNFCCC dunque), come riportato nello stesso sito ufficiale della Conferenza di Copenhagen. La questione posta è di efficienza: dal momento che qualcosa per ridurre le emissioni va fatto, saranno più efficienti delle misure nazionali legalmente vincolanti sul piano domestico o un complessivo accordo internazionale che vincoli tutti (e che metta d’accordo tutti)?

Una delegittimazione degli sforzi ONU? una sconfitta del multilateralismo? una sconfitta dei Regimi Internazionali e di tutta la Teoria di Relazioni Internazionali che vi giace dietro? un segnale di volontà politica forte contro i gelosismi diplomatichesi interni alle Nazioni Unite, genere se-tu-non-ti-impegni-io-non-mi-impegno e hai-inquinato-e-ti-sei-sviluppato-ora-devi-impegnarti-di-più? una vittoria del buon senso e dell’urgenza di agire comunque? che opportunità, che minacce di tutto ciò?

Di fatto, al momento attuale le Parti sembrano condursi in ordine sparso:

Perché dunque opporsi alla fissazione di tetti nazionalmente determinati ma internazionalmente sanciti, di fronte a questi impegni volontari? La Ministro danese al Clima e all’Energia, Connie Hedegaard, auspica che i governi ai loro massimi livelli (e non solo i delegati) si riuniscano al più presto per superare tali particolarismi. Rinunciare ad un approccio internazionale-globale del problema del Cambiamento Climatico potrebbe infatti non solo tradursi in una capacità insufficiente di intervento sul fenomeno, ma anche in un’allocazione meno efficiente delle risorse finanziarie, tecnologiche e politiche per affrontarlo. Ovvero, a maggiori costi per tutti.

Food for thought, per ora. Nutrimento per il pensiero, dicono gli inglesi.





L’Unione Europea a 6 mesi da Copenhagen: un nuovo Parlamento, una nuova Presidenza e una Leadership da mantenere. Post 2: le rinunce forzate della Presidenza Svedese

14 06 2009

 

SwedenTaking on the challenge: ecco il motto che il Primo Ministro svedese, Fredrik Reinfeldt, riconosce alla propria Presidenza dell’Unione Europea, che si aprirà mercoledì 1° luglio 2009 e ci accompagnerà per 6 mesi fino ai cruciali appuntamenti di dicembre. In quanto Presidente di turno, la Svezia rappresenterà l’Unione alla Conferenza di Copenhagen 2009 e si appresta ora a iniziare il suo mandato con un Europarlamento appena eletto e una Commissione da rinominare. Here’s the challenge.

Ma anche Taking on the challenge di conciliare le priorità energetico-ambientali che l’Unione, e la Svezia, si erano date da tempo per questo semestre e le necessità immanenti di lotta alla disoccupazione e alle discriminazioni sociali che l’attuale Crisi economica ha fatto montare. E’ dunque comprensibile come, diversamente dai suoi predecessori (come la Germania, la Francia, la Repubblica Ceca), sia difficile trovare in rete un programma organico dell’azione che la Svezia si prefigge di realizzare in questi mesi: il sito della futura Presidenza delinea le priorità che ogni singolo Consiglio dei Ministri Europei dovrà darsi, ognuno nel limite delle proprie competenze. Ecco che sembra mancare una gerarchizzazione formale dei diversi temi: il rimescolamento indotto dalla Crisi ha obbligato la Presidenza a rivedere i propri obiettivi e a pensare piuttosto ad una conduzione estremamente flessibile, addirittura quotidiana, della situazione, come ben sottolineato nel sito del Governo svedese. La Svezia erediterà dai predecessori, ancor più del consueto, una sostanziosa parte della sua agenda.

Ma il Primo Ministro Reinfeldt ha il tempo, in data 9 giugno, di delineare, almeno informalmente, le sue priorità. E la lotta al cambiamento climatico rimane in seconda posizione, all’interno di un duo prioritario, comprensibilmente dopo la gestione dell’uscita strutturale dall’attuale crisi finanziaria ed ora occupazionale e sociale. Si tratta nondimeno di un rovesciamento significativo: l’impegno contro il Climate Change veniva considerato da numerosi analisti, ancora nell’autunno scorso, come la top one priority della Presidenza svedese, ancor prima di un generico, ma da tutti preteso, rilancio della competitività, della crescita e dell’occupazione europee.

E quest’impegno viene da lontano, non solo per la Svezia tradizionalmente sensibile a questi temi (si pensi a dove si svolse la prima conferenza internazionale sui rapporti tra ambiente naturale e attività umana nel lontano 1972: a Stoccolma). Orientativamente a partire dal 2007, con la Presidenza tedesca e il famoso Pacchetto 20-20-20, all’interno del dibattito energetico/ambientale europeo si percepisce uno shift dalle priorità “Sicurezza Energetica” e “Creazione del Mercato Unico dell’Energia” (dogmi del documento fondante della Politica Energetica Europea, il “Libro Verde per una Strategia Europea per un’Energia Sostenibile, Competitiva e Sicura“) alla promozione di una vera e propria “Transizione ad un’Economia sostenibile, a basso contenuto di carbonio”, passando per la divisa “A sustainable energy“.

Ebbene quest’evoluzione si riflette nel sostanzioso Programma Tripartito redatto da Francia, Repubblica Ceca e Svezia per i rispettivi 18 mesi di Presidenza e comparso nel giugno 2008. Strumento volto a coordinare meglio gli sforzi sul medio periodo e a dare maggior coesione alle Presidenze europee in attesa che l’entrata in vigore di un nuovo Trattato UE potesse prevederla formalmente. Si tratta di un testo estremamente focalizzato sulla sfida climatica: 4 sui 17 capitoli (di cui il secondo in ordine di comparsa e di importanza) vi sono dedicati.

Un accordo internazionale globale e ambizioso per garantire all’Europa un’energia sostenibile e competitiva. E’ (era?) questa la strategia individuata: l’orizzonte, esplicito nel documento, è la Conferenza di Copenhagen 2009. Con la piena coscienza dell’esizialità della leadership europea per un successo dei negoziati e dell’opportunità per l’Europa, in tal senso, di ben terminare i suoi compiti per casa in adeguato anticipo. Trattasi, da un lato, dei suoi “pacchetti legislativi energetici” interni, al fine di essere preparata ai nuovi fardelli del post-Kyoto; d’altro lato, degli abboccamenti privilegiati (e preventivi) con USA, Russia, Cina, India, Brasile al fine di spianare la strada all’accordo di dicembre.

L’Europa non sembra più disposta infatti a prendersi da sola gli oneri della lotta al Cambiamento Climatico e individua chiaramente in un comune regime internazionale la miglior arma contro una perdita di competitività delle sue imprese. Nel documento stesso (e dunque ancor prima dell’esplodere completo della Crisi attuale) l’UE si dice disposta ad ampliare il suo impegno di riduzione delle emissioni a -30% (e non solo 20%) all’orizzonte 2020 rispetto ai livelli del 1990, qualora altri Stati intraprendono la stessa strada. Interessanti a questo proposito gli esiti del recentissimo round preliminare di negoziati sul testo a venire di Copenhagen.

In tal senso, particolarmente dure (diplomaticamente parlando) le parole che Reinfeldt ha avuto per gli altri Stati (fuori Europa) nel suo discorso del 9 giugno: “other developed countries MUST now follow” (“gli altri Paesi industrializzati devono ora seguir[ci]”), nessun più contenuto “may”, “shall” o “should”. Anche il successivo riferimento diretto (e nominale) agli sforzi di Obama assume una connotazione particolarmente urgente e pressante.

Dunque, che dire?

La lotta al cambiamento climatico rimane tra le massime priorità dell’agenda europea, l’Europa è conscia dell’importanza della sua leadership. Ma il quadro non sembra roseo: le risorse economiche, e politiche e mentali, dell’Unione dovranno essere ripartite tra i diversi obiettivi di stabilizzazione finanziaria e di rilancio economico e occupazionale.

Taking on the challenge ricorda Reinfeldt: ogni crisi è un’opportunità, come si premunisce di cominciare il suo discorso, facendo eco a quanto ripetuto in sede G8 e World Business Summit. E vi è da considerare l’importantissima avanzata dei Partiti Ecologisti alle elezioni per l’Europarlamento: la domanda da parte della popolazione vi è tutta.

Peccato però che in sostegno al suo capitolo Clima, Reinfeldt sia poi costretto a promuovere le energie rinnovabili e le tecnologie pulite con un argomento un tantino dissonante: “non avete mai pensato a quanto raddrizziamo le nostre bilance commerciali e dunque le nostre finanze pubbliche se riduciamo il peso delle importazioni di combustibili fossili?”. Certo, in tempi di crisi finanziaria…..

 

Qui il post 1 sulle elezioni e gli immediati impegni parlamentari.





Creare il Post-Kyoto. The Bonn Climate Change Talks, Second Round (1-12 giugno 2009): più costruttivi ma poco ambiziosi

12 06 2009

 

CHI, QUANTO E IN QUANTO TEMPO dovrà ridurre le proprie emissioni? Sono queste le poste in gioco che non hanno ancora trovato risposta durante il secondo round dei Negoziati preliminari alla 15esima Conferenza delle Parti alla Convenzione delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico (COP 15 dell’UNFCCC) che si terrà a dicembre a Copenhagen. In tale sede, quanto dovrà essere deciso non è niente di meno che il Regime post-Kyoto, a valersi dal 2013 al 2050.

E al momento non sembrano raggiunti i livelli minimi di riduzione che la “scienza” ci impone per scongiurare gli effetti insostenibili del Cambiamento Climatico. In questi giorni le proposte avanzate giungono complessivamente a garantire una riduzione, per il 2020, del 25% delle emissioni rispetto ai livelli del 1990: ben al di sotto dunque del 40% necessario.

I Governi hanno messo una posizione in chiaro: alla Conferenza di Copenhagen un Accordo di (comune?) impegno dovrà essere firmato. Il senso che qualcosa debba essere fatto, e rapidamente, ha dominato a Bonn e questo sembra il maggior risultato dei negoziati di questi giorni. Un risultato striminzito? Yvo de Boer, Segretario Esecutivo della UNFCCC, stima si tratti piuttosto di un passo assolutamente importante: i Governi sono oggi pronti ad impegnarsi per raggiungere un accordo, “they are committed“. E questo costituisce l’assicurazione più importante per il successo di Copenhagen 2009.

La proliferazione delle proposte avanzate dai diversi Stati, che in più punti si sovrappongono e in altri si contendono, appare invece come il risultato più tangibile delle trattative. Il testo che dovrà costituire la base dei negoziati al vertice di dicembre (ulteriori round sono previsti in agosto, settembre e novembre) si è dunque gonfiato da 50 a 200 pagine. Scatenando la frustrazione della Ministro danese (Paese ospitante della COP 15 e impegnatissimo in materia) per il Clima e l’Energia, Connie Hedegaard, che vi scorge il rischio di un rallentamento importante dei negoziati e di atteggiamento passo-la-patata-bollente tra gli Stati, quando invece per la prima volta “i delegati pot[evano] discutere i primi veri testi negoziali“.

Quali dunque le posizioni che si sono “scontrate” a Bonn?

  • l’Unione Europea presenta le posizioni più avanzate, promettendo riduzioni del 20% per il 2020 rispetto ai livelli del 1990. Tuttavia non mancano attivisti come Greenpeace che denunciano l’indebolimento della sua capacità di leadership all’interno dei negoziati [consultate a questo proposito il dibattito sulla leadership europea in materia];
  • gli Stati Uniti e il Giappone minimizzano i tetti alle emissioni che si dicono capaci di rispettare: al 2020, rispettivamente il 4 e l’8% rispetto ai livelli del 1990. Inoltre, il Giappone ha proposto l’inclusione di Cina, India e Brasile nella “parte attiva della Comunità Internazionale” (ovverosia l’insieme degli Stati tenuti a ridurre da subito le proprie emissioni), in quanto “major emitters economies” e “major contributors” alle emissioni ad effetto serra. Da parte loro, i delegati USA, che devono tener conto della “digeribilità” per il Congresso del futuro accordo sul clima, hanno proposto ai Paesi emergenti e in via di sviluppo di impegnarsi sulle azioni da condurre ma non sul risultato;
  • i grandi Paesi emergenti come Cina, India e Brasile a tale inclusione si oppongono e si sentono pressati ad assumere formalmente tetti alle loro emissioni, pur non essendo inclusi nell’Annesso I alla UNFCCC che comprende i soli Stati (industrializzati) che, per ora, hanno la responsabilità storica (e legale) di ridurre le emissioni. In particolare questi Paesi temono il principio su cui queste richieste vengono avanzate: il criterio della grandezza nell’individuazione delle categorie di Stati. Rischierebbe di trattarsi di un precedente, con tutte le conseguenze di diritto internazionale che ciò implicherebbe;
  • infine, i Paesi in via di sviluppo, che prima di tutti soffrono le conseguenze del Cambiamento Climatico, chiedono a gran voce ai Paesi sviluppati di essere ben più ambiziosi e incisivi nei loro obiettivi di riduzione delle emissioni.

Quale il principale limite di questi Negoziati? La compresenza di due tavoli negoziali distinti con diverso mandato giuridico che si occupano però di tematiche profondamente interrelate. Si tratta dell’eredità di Bali (13esima Conferenza della Parti alla Convenzione ONU, nel 2007) che ha stabilito una Road Map basata su due Gruppi di lavoro:





L’Unione Europea a 6 mesi da Copenhagen: un nuovo Parlamento, una nuova Presidenza e una Leadership da mantenere. Post 1: i futuri impegni della Settima Legislatura Europea

11 06 2009

 

Gli “Ecologisti Europei” costituiscono l’unico tra i Gruppi politici dell’Europarlamento ad aver visto aumentare le preferenze ricevute rispetto alla legislatura precedente. Questo in base ai dati disponibili fino ad oggi, che non comprendono ancora la scelta di campo che gli eletti “indipendenti” (“others” nel grafico) compiranno prima del 14 luglio (sessione costitutiva del nuovo Parlamento) e che potete meglio consultare cliccando sull’immagine.

RISULTATI EUR_11 giugno

E’ una precisa domanda politica che i cittadini europei rivolgono alle loro istituzioni in materia di Ambiente ed Energia, quella che si riflette in tale risultato, nonché nella trasversale presenza in praticamente tutti i programmi elettorali di espliciti riferimenti a questi temi. Non si tratta dunque solo di una nuova sensibilizzazione della popolazione europea, o, come alcuni propongono, di un fenomeno di pura moda.

E tale risultato ci obbliga a porre, nelle pagine di questo blog, particolare attenzione all’impulso che l’UE sarà capace di imprimere alle politiche internazionali in tema di Sostenibilità Energetica. Per comprendere appieno la leadership che in tale ambito l’Unione Europea si è guadagnata, cercheremo di rendere conto anche delle fondamentali evoluzioni legislative avvenute nel corso della scorsa legislatura 2004-2009. Il tutto lo troverete sotto la nuova Categoria “L’Unione Europea e la Sostenibilità Energetica”.

Questo risultato, sempre lui, ci fa infine sperare per l’adozione di una posizione più ambiziosa dell’Unione nelle trattative internazionali per giungere, in dicembre a Copenhagen, al nuovo Accordo sul Clima. Come auspicato peraltro dal Commissario europeo all’Ambiente, Stavros Dimas, nel corso della recente Giornata Mondiale dell’Ambiente (5 giugno).

Per ora, l’adozione di nuove norme per migliorare l’efficienza energetica degli edifici e per introdurre l’etichettatura energetica dei pneumatici rappresentano i primi impegni nell’agenda del nuovo Parlamento Europeo in ambito energetico-ambientale. La loro approvazione permetterà di completare la traduzione in legge, o meglio in direttiva, delle proposte contenute nel Pacchetto “Efficienza Energetica”, avanzato dalla Commissione Europea in data 13 novembre 2008 nell’ambito della sua “Second Strategic Energy Review – Securing our Energy Future“. Ricordiamo come l’approvazione di tale pacchetto abbia facilitato a sua volta la traduzione in direttive del precedente (del marzo 2007) Pacchetto Clima-Energia, meglio noto come 20-20-20, da parte del Parlamento Europeo, avvenuta in data 17 dicembre 2008. Avremo modo di discuterne. 

 

Per la discussione sugli impegni/limiti della Presidenza svedese subentrante, vogliate consultare il post 2.





Messaggio di Luce: la nuova campagna istituzionale di Enel

10 06 2009

 

Impegno, rispetto, futuro, ritorno alla Terra: ecco i concetti che (mi) suscita la nuova campagna stampa di Enel, sui maggiori quotidiani nazionali, locali e periodici già dal 17 maggio 2009. Cliccate sull’immagine per ingrandirla.

Enel_Messaggio di Luce_stampa

Personalmente trovo un po’ limitante l’interpretazione datane dalla stessa Enel nella sua pagina dedicata: l’immagine rappresenterebbe la solidità e i risultati dell’azienda (simbolizzati dai semi di luce, accanto ai quali sono peraltro presentati i successi di Enel), ansiosa di “non accontentarsi dei traguardi raggiunti e [di] guardare sempre lontano“. O meglio, ritengo che la forza di tale campagna non stia assolutamente in questi concetti troppo generici e cervellotici.

Si tratta di una campagna capace di parlare all’emotività di chi si interessa di Energia. E da questo sprigiona la sua forza. E il messaggio che ne promana è (a mio avviso): “L’abbiamo capito: procurarsi l’Energia del futuro non sarà una passeggiata, bisognerà rimboccarsi le maniche, ma noi non abbiamo paura di questa sfida e abbiamo cominciato ad affrontarla da oggi! Abbiamo compreso che è necessario ripartire dai frutti della Terra e sapremo tirare fuori da essa quanto c’è di meglio!”

Il riferimento primo del Visual è infatti all’Agricoltura che implica, da un lato, un contatto maggiore con la Terra (e teoricamente un maggior rispetto verso di essa) e, dall’altro, uno sforzo (fisico) considerevole. Nel contempo, l’Uomo si staglia con fierezza e impegno sulla campagna fertile nel cui paesaggio, non dimentichiamolo, figurano anche delle pale eoliche proprio laddove l’Uomo, per la posizione in cui è posto rispetto a noi, sembra già passato.

Un ultimo elemento: non è che forse il tramonto del Sole vuole rappresentare proprio l’approssimarsi della fine del “cheap oil”, o, più prosaicamente, dell’Energia a buon mercato? E che giustamente l’Uomo sa posporre seminando semi di Energia anche nel mondo già buio?

 

Per questo post voglio ringraziare il dott. Giulio Bonini (http://www.consumerinsight.it), che mi ha gentilmente segnalato l’inserto.





Local Government Climate Change Leadership Summit (2-4 giugno 2009): valorizzare quanto già è stato fatto contro il Cambiamento Climatico

9 06 2009

 

A Copenhagen, in dicembre, saranno i Governi a decidere, ma poi per applicare veramente quanto prospettato molti altri attori dovranno non solo essere, ma anche sentirsi, attivamente coinvolti: e bisogna valutare quanto questi altri attori siano disposti e siano in grado di fare.

Questo è il messaggio, ancora una volta, di un ulteriore incontro al vertice tenutosi dal 2 al 4 giugno a Copenhagen, in preparazione della Conferenza di dicembre. Dopo quello delle Imprese, il World Business Summit on Climate Change.

E questa volta gli attori coinvolti sono le Municipalità e i Governi locali. Reti energetiche cittadine, smaltimento dei rifiuti, appalti pubblici, investimenti in edifici pubblici energeticamente efficienti, organizzazione dei trasporti pubblici: numerosi sono i capitoli che ricadono sotto il loro diretto controllo e che sono in grado di influire notevolmente sulle chances di lotta al Cambiamento Climatico. Pertanto, il loro appello ai Governi nazionali, seppur limitato a 3 striminzite pagine di Dichiarazione Finale, assume un tono particolarmente esigente.

Un approccio inclusivo che tenga conto di tutti i livelli di governo del territorio, dell’impatto specifico che il Cambiamento Climatico esercita sul piano locale e degli sforzi che sono necessari per garantire l’adattamento delle comunità alle sue conseguenze. Il rispetto di tale principio di Sussidiarietà (i problemi devono essere affrontati al livello di governo più vicino, quindi più basso, direttamente competente; solo in caso di incapacità di risolverlo da parte di questi, il caso sarà avocato dai livelli superiori) deve però accompagnarsi da un opportuno stanziamento di fondi. In tal senso, i Governi locali chiedono 1) che sia per loro possibile accedere ai meccanismi di finanziamento già previsti dal Protocollo di Kyoto e 2) che una particolare attenzione venga riservata ai Paesi a basso reddito.

Non solo: l’esperienza già formata delle Comunità locali nella lotta al Riscaldamento Globale deve essere riconosciuta, valorizzata all’interno del futuro accordo che vedrà la luce in dicembre e coordinata a livello nazionale e transnazionale. A tal fine, il Local Government Climate Change Leadership Summit ha inaugurato un innovativo sito Internet interattivo, the ClimateActionMap.org, che permetterà alle Comunità di scambiarsi informazioni sui loro attuali progetti di contenimento e adattamento al Riscaldamento Globale e imparare in tal modo una dall’altra.

Che dire?

1) alla luce della sempre più auspicata opportunità di costituire un Modello Energetico maggiormente decentralizzato, fondato sulle energie rinnovabili, il coinvolgimento dei Governi locali appare esiziale;

2) le Comunità locali rappresentano, per loro natura, la scala sulla quale più si è fatto concretamente per combattere il Cambiamento Climatico: valorizzare la loro esperienza costituisce un’occasione per riconoscere che qualcosa si può fare, qualcosa è stato fatto e credibilizzare complessivamente le azioni internazionali in materia;

3) l’impegno del governo danese, nella persona soprattutto della Ministro per il Clima e l’Energia Connie Hedegaard, appare davvero notevole. In particolare, il susseguirsi di incontri contribuisce a:

      a) mobilitare e sensibilizzare gli attori, anche quelli da cui spontaneamente non proverrebbe nulla, obbligandoli a riflettere almeno un istante sul tema: farli sentire rilevanti ai fini della risoluzione del problema;

      b) creare occasioni di federazione e di aggregazione delle posizioni degli attori: la possibilità, per le aziende, le municipalità, etc. di discutere tra loro e negoziare delle posizioni comuni rende ogni posizione raggiunta più solida e motiva gli attori che l’hanno formulata a difenderla più fermamente in sede di Conferenza dei Governi;

      c) credibilizzare la Conferenza di Copenhagen agli occhi di tutti gli attori che vi parteciperanno e che usufruiranno dei suoi risultati (i cittadini “del mondo” per intendersi);

      d) creare aspettative consistenti a livello internazionale sui Governi, accrescendo la percezione delle loro responsabilità qualora fallissero in dicembre.





Europe Ecologie: il successo insperato degli Ecologisti alle Elezioni Europee in Francia

8 06 2009

 

I Verdi Francesi hanno più che raddoppiato i loro seggi al Parlamento di Strasburgo: da 6, quattro anni fa, a 14 oggi. Tanto da imporsi come terzo partito francese, testa a testa con il Partito Socialista per il secondo posto dopo l’UMP di Sarkozy. Spazzato dunque via il MoDem, partito centrista di François Bayrou che alle scorse elezioni politiche aveva riportato saldamente il terzo posto, proponendosi quale alternativa e giocando a lungo, grazie al suo potenziale di alleanza, come ago della bilancia tra l’UMP di Sarkozy e il PS della Royale. Ecco i risultati disponibili alle ore 17:19 di oggi 8 giugno 2009: cliccate sull’immagine per ingrandirla.

EUROP FRE’ una federazione di partiti quella che ha riportato il successo in Francia: si tratta dei Verdi di Nicolas Hulot, degli Altermondisti di José Bové, di militanti del mondo associativo come Yannick Jadot, ex di Greenpeace, e di personalità come l’ex magistrata Eva Joly, sotto l’abile regia di Danhiel Cohn Bendit, guida storica del ’68 francese.

Una tale avanzata elettorale merita una discussione. Prima di riflettere sulle difficoltà per una tale galassia di rimanere unita, cerchiamo di analizzare le forze insite nel loro Programma.

logoL’uscita dall’attuale crisi impone la “conversione ecologica e sociale dell’economia”, una “transizione tra due mondi, tra due modelli di sviluppo, tra due civiltà” fondata sul principio di Protezione: protezione dei diritti fondamentali, sociali e ambientali, perché solo se i cittadini percepiranno un reale miglioramento del loro benessere, potranno acconsentire ad una tale transizione. Questo il fulcro del Programma intitolato “Contratto Ecologista per l’Europa“.

Esso propone 9 pilastri sulla base dei quali articolare tale transizione: Impiego, Agricoltura (tema carissimo alla rurale Francia), Energia, Salute, Biodiversità, Diritti Sociali, Diritti Umani, Conoscenza, Internazionale. E avanza 3 strumenti per realizzare questo cambiamento: un Patto Europeo di Cooperazione Ecologica e Solidale, un Consiglio di Sicurezza Economica, Sociale e Finanziaria europeo, responsabile davanti all’Europarlamento e un nuovo Processo Costituente per rifondare l’Unione Europea.

Che dire?

1) si tratta di un Programma estremamente ampio (68 pagine), che si prefigge di rifondare la Visione della convivenza sociale e dell’attività economica. L’intento non sembra quello di stravolgere i rapporti sociali in un’ottica prettamente di sinistra-estrema (per la discussione di questo punto leggete al 4)), quanto piuttosto quello di dar loro un nuovo significato maggiormente “a misura d’Uomo”;

2) è un Programma estremamente minuzioso, che entra molto nel concreto: vengono forniti dati cifrati e molto dettagliati su temi come il numero (e la destinazione) dei nuovi impieghi “verdi”, sulla riconversione ecologica dell’industria automobilistica, etc. (giusto per citare i primi);

3) quello che si propone è, ancora una volta, un New Deal ecologico e sociale che trae la sua forza dalla Crisi, come peraltro è sottolineato in apertura al Contratto stesso: piena convergenza dunque con il clima politico-ideale internazionale di questi ultimi mesi;

4) si tratta di un superamento importante di una visione tradizionalmente solo di sinistra dell’Ecologismo francese (ma propria non solo di quello francese, basti pensare all’odierna Lista Italiana Sinistra e Libertà che ingloba i Verdi): l’obiettivo è quello di assumere un’identità precisa e autonoma rispetto alle posizioni puramente sinistroidi (e in eterno conflitto interno per la gioia dell’esasperato cittadino francese -basti pensare alla batosta che quest’ultimo ha inflitto al Partito Socialista-). Per la trattazione di questo punto rimando ulteriormente all’articolo di Eco-Ecoblog al quale mi sono largamente ispirata;

5) Europe Ecologie ha fatto caro il tema del Cambiamento sul quale si è fondata nel 2007 la campagna presidenziale di Sarkozy: indubbia la notevole congruenza coi temi del cambiamento di Obama, ma ritengo che il dialogo sia più franco-francese e da questo generi una parte importante del successo riportato.